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Matteo Garrone racconta Pinocchio

Il regista romano ci riceve negli Studios di via Tiburtina a Roma, dove ha sede la sua Archimede Film, tra busti di Pinocchio, tavole di fine Ottocento e quadernoni di appunti, per raccontarci il suo film sul burattino più famoso al mondo. Qui l’intervista pubblicata sul numero di gennaio di Ulisse.

© Antonio Pedaletti

«IL MIO PINOCCHIO SEGRETO»

Il coraggio di certo non manca a Matteo Garrone. Sotto Natale è uscito il suo attesissimo Pinocchio, scelta temeraria quella di portare sul grande schermo la storia del burattino più famoso della letteratura mondiale. Qualcuno magari, conoscendo il cinema forse si aspettava un Pinocchio dark.

In questi quattro anni il regista ha invece realizzato un film divertente, leggero, adatto per tutti, grandi e piccoli, senza distinzioni di classi sociali, con un cast ricco di talento comico, da Roberto Benigni a Gigi Proietti, da Massimo Ceccherini a Rocco Papaleo. Nel ruolo di protagonista un sorprendente Federico Ielapi perfetto Pinocchio grazie anche al magistrale lavoro di make up del premio Oscar, Mark Coulier. Incontriamo Garrone a Roma negli studios della sua Archimede Film, dove è appeso un quadro realizzato da bambino che spiega come questo film parta da molto lontano. «Lo disegnai a 6 anni, un racconto per immagini di Pinocchio, un vero e proprio storyboard».

Ne ha altre nel cassetto di sue sceneggiature di bambino?

«Sì, ma questa è quella a cui sono più affezionato».

Come si racconta un grande classico come Pinocchio?

«Il modo migliore — o forse l’unico — per essere originali era tornare al Pinocchio vero, autentico. Quello che tutti pensiamo di conoscere, e che invece rivela ogni volta una nuova sorpresa, o dei particolari meno noti».

Ad esempio?

«La Fata Turchina cambia fisionomia nel corso della storia. Inizialmente è una sorellina per Pinocchio, mentre sul finale diventa una sorta di mamma. Per questo ci sono due attrici diverse a interpretarla. Così come non c’è la balena ma un pescecane, come scriveva l’autore».

È stato lungo il lavoro di ricerca?

«Sì, siamo partiti dalle illustrazioni del 1881 di Enrico Mazzanti, le più autentiche visto che disegnava gomito a gomito con Collodi. E poi abbiamo scartabellato gli archivi Alinari e le opere dei Macchiaioli, un grande aiuto per ricostruire l’iconografia del film».

Come ha convinto Roberto Benigni a interpretare il ruolo di Geppetto?

«Iniziammo a parlarne a Cannes, quando consegnò la Palma d’oro a Marcello Fonte, il protagonista del mio Dogman. Un ruolo che qualche anno prima avevo proposto proprio a Roberto, ma all’epoca era un progetto acerbo e fece bene a rifiutare».

Un Benigni inedito, invecchiato, con la barba lunga.

«È stata proprio quella immagine a convincerlo. Quando gliel’ho mostrata mi ha detto: “ma questo è mio nonno!”. Roberto è un Geppetto ideale: viene da una famiglia contadina e il contesto rurale di Pinocchio ha richiamato la sua storia familiare».

Un cast con molto talento comico: Benigni, Proietti, Papaleo, Ceccherini.

«Sono stati preziosi per mantenere quel tocco di leggerezza. Un racconto per bambini è una responsabilità, perché sono spettatori più vulnerabili, e anche una sfida per riuscire a catturare la loro attenzione».

Federico Ielapi è straordinario come Pinocchio.

«Sì, per me è una specie di “bambino bionico”. Non era facile trovare un piccolo attore capace di sopportare ritmi così stressanti. Arrivava sul set dopo quattro ore di trucco».

Qualche suo fan forse resterà spiazzato.

«Credo che chi ha apprezzato i miei film precedenti ritroverà il mio tratto anche qui. Certo, è un’opera diversa dalle altre, ma in fondo nella mia filmografia c’è sempre stato un elemento fiabesco. Qui c’è un elemento magico in una storia meravigliosa».

Prossimi progetti: è vero che vorrebbe fare un film su Open, il libro di Andre Agassi?

«Ci ho provato, ma Andre non cede i diritti. Mi sarebbe piaciuto perché a 18 anni frequentai anch’io l’Academy di Nick Bollettieri in Florida. Oltre a lui c’erano Jim Courier e Monica Seles, con cui mi allenai diverse volte. Una storia sportiva mi piacerebbe raccontarla in futuro».

© Antonio Pedaletti

© Ulisse | gennaio 2020

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