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Nomignoli

In La mia vita con Virginia, Leonard Woolf ci racconta di come la moglie Virginia non smettesse mai di essere scrittrice. Si divertiva a stare in mezzo alla gente e le piaceva sentire pettegolezzi e raccontarne perché tutto questo costituiva materiale per il suo lavoro.

E rimane profondamente scrittrice anche quando affibbia a ogni persona che ama un nomignolo. Nadia Fusini arriva a dire che “gli animali funzioneranno sempre nella sua scrittura allo stesso modo che nella religione indù, e cioè come vahana, ovvero come cavalcature su cui procedono le qualità essenziali se non delle divinità, del soggetto”.*

Virginia Woolf ama usare i nomignoli di origine animale. Fin da giovane. Il suo primo, e forse più famoso, soprannome è Capra.
Nella sua biografia della zia, Quentin Bell dice che questo nome pare nasca da un evento realmente accaduto. Sembra infatti che un giorno, mentre ancora bambina si trovava ai Kensington Gardens, i mutandoni di Woolf le scivolarono fino alle ginocchia. Dalla vergogna, la piccola Virginia si nascose dietro un cespuglio da cui fuoriusciva solo la testa. Per distogliere l’attenzione, poi, prese a cantare, con quanto fiato aveva in gola, L’ultima rosa d’estate. Da lì presero a chiamarla testa di capra, o capra, appunto.
Era una capra femmina con il fratello Thoby e la cugina e amica Emma Vaughn, specialmente. Si firmava Goat, o anche Goatus.

Con la sorella Vanessa, invece, diventa una capra maschio, un caprone. Eccola allora firmarsi Billy Goat, oppure solo Billy, o una semplice B. Sempre Fusini dice che in questo epiteto al maschile “coglieremo l’appassionato e impudico slancio erotico verso la sorella”.

Thoby non diventa animale. Per lui si collezionano vari soprannomi come Gribbs, Grim, Cresty e anche Thobs, mentre Emma, la sua amica più cara nella giovinezza, è un rospo, Toad. Ma uno scrittore non può fare a meno di giocare con le parole, ed ecco allora che di tanto in tanto diventa Toadkins, Toadlebinks, Todelkrancz, ma anche, in modo più ‘asciutto’, Rettile.

A Vanessa, che qualche volta viene vista come un Sheepdog, un cane da pastore, viene riservato anche il ruolo di Delfino e il suo naso ritorna spesso nelle lettere di Virginia. Scriveva, per esempio, “Il tuo naso blu da delfino” o:

Con l’amica Violet Dickinson (che viene apostrofata spessissimo con Donna, o Donna mia) si fa invece una creaturina più piccola, bisognosa di cure, e allora diventa Sparroy, da passero. Quasi una rapporto di dolce sottomissione, mi viene da dire.
Ma non disdegna di diventare pure un Canguro, o un Wallaby. Di certo, la sua forma preferita rimane quella volatile.

Con Vita Sackville-West, la sua Dearest Creature, Virginia diventa Potto. Capita pure che diventi una piccola talpa che affiora in superficie in cerca di coccole, ma è Potto a farla da padrona.

E poi c’è Leonard. Per lui, Virginia si trasforma in un Mandrillo che, anche durante i soggiorni lontani per curarsi, si preoccupa della sua Mangusta, la forma animale del marito. Ma insieme sono, ovviamente, dei Lupi, per associazione col cognome.

In somma, continuando a citare Fusini: “Nomignoli, giochi di parole, scherzi verbali, doppi sensi, parodie, caricature portano acqua al mulino della risata.” Giusto per ricollegarci a quanto già scritto la settimana scorsa. “E servono a scaricare nella lingua un’energia emotiva anche dolorosa, che partorisce un mondo gravido di affetti ambivalenti. Anche di questo lavoro della lingue le lettere sono la palestra.”

*Tutte le citazioni di Nadia Fusini sono tratte da Da Virginia Stephen a Virginia Woolf: ritratto della scrittrice da giovane, l’introduzione del volume Ritratto della scrittrice da giovane, UTET.

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